leggende - Castel Manfrino (Casalbergo)

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I FANTASMI DEL SALINELLO
        

Siamo nella gola del Salinello, tra la montagna di Campli e quella dei Fiori.
Qui, in questo canyon dove la luce riflessa gioca sui toni del bianco e del grigio, soffocando i colori brillanti della valle soprastante, possiamo scoprire tra le rupi della montagna, grotte secolari frequentate sin dall’era paleolitica per l’incredibile fenomeno dell’eremitismo che portava religiosi a condurre una vita di solitudine, stenti, castità.
Sono forse le immani privazioni materiali a far nascere tante leggende su asceti, statue di Madonne impossibili da distruggere, tesori custoditi da porte in ferro o animali diabolici.

Nel fondo della gola, dove il Salinello è più tumultuoso si narra di un enorme macigno che bloccherebbe una cavità naturale al cui interno si nasconderebbe un tesoro in monete d’oro, rame e argento.

Il ricco bottino, la cui proprietà qualcuno fa risalire al Re Manfredi, sovrano del castello di Macchia, sarebbe custodito da una splendida fata vestita di bianco che, quasi un sorta di Penelope, tesse e disfa la lana in continuazione.

Edordo Micati nel suo libro sugli Eremi della montagna teramana, parla di un monaco che se ne sta nel fondo della grotta dritto e in silenzio in attesa del comando della bianca signora.
Diversi cavatesori, nel corso dei secoli, hanno provato ad impossessarsi dell’ambito mucchio di monete, perdendo sciaguratamente la vita.
Qualcuno ci ha provato circa trent’anni fa e di lui vi parlerò in una prossima puntata.

La leggenda voleva che chi si avventurava nell’orrido, dovesse inizialmente portare via solo le monete in rame, per poi ripresentarsi tre anni dopo per quelle in argento e altri tre anni dopo per depredare le ambite monete d’oro.
La cupidigia degli avventurieri per il metallo più nobile faceva sì che la porta d’ingresso si richiudesse dietro di loro facendoli perire dentro l’anfratto.

I fantasmi di questo ingordi ogni notte si aggirerebbero nei dintorni di Sant’Angelo in Volturino, uno dei più noti luoghi di culto rupestri della montagna dei Fiori.
Nella parte centrale della valle, dove il colore dominante è il grigio intenso e nessuna macchia verde reca sollievo al plumbeo aspetto, si consuma nella leggenda l’eterna lotta tra il bene e il male, tra il Santo e il diavolo.
Francesco d’Assisi, narra la tradizione, nell’anno 1215, visse un breve periodo nella grotta che prende il suo nome.
Mentre tornava al suo giaciglio, dopo aver predicato fu aggredito da una moltitudine di pidocchi inviati dal Malvagio che vigilava dall’altra parte del fiume.
Francesco puntò il suo bastone facendo partire una folgore, che, colpendo in fronte Satana, lo fece precipitare lungo l’alveo del corso d’acqua, uccidendolo sul colpo.
A riprova di ciò molti giurano che nella pietra, dove il santo si poggiò, sono evidenti le impronte delle mani e dei piedi e che la collina di fronte presenta un vistoso foro dal quale il diavolo precipitò.


Lu mazzemarille

La storia che vi racconto ben si innesta nell’alone di mistero che caratterizza il Castel Manfrino e le Gole del Salinello.

Tra l’altro è una delle poche in cui il protagonista è ancora vivo.

Era un fresco mattino di un mese primaverile, quando il “Nostro”, accurato e attento speleologo, ottimo atleta a quei tempi, affascinato cultore della storia delle tradizioni popolari del teramano, era a percorrere i sentieri angusti e, nello stesso tempo, paradisiaci di questo pezzo della Laga.

L’amico perlustrava il Castello, effettuando ricognizioni e scavi lì dove, secondo antiche leggende popolari il misterioso e valoroso Re Manfredi avrebbe nascosto il suo grandioso tesoro.

Mese dopo mese, abbacinato da questa possibilità, l’uomo perlustrava i luoghi con orgoglio giovanile e desiderio di entrare nella storia come il ritrovatore dell’eccezionale bottino.
Questa idea gli donava vigoria e instancabile volontà.

Era a Piano Maggiore, di fronte ai ruderi del Castello riscaldato da un sole limpido e nel dirigersi verso il pianoro fu attratto dalla chiesa diroccata e abbandonata, la stessa che oggi, progetti infiniti vogliono restaurare.
Sarebbe stato il giusto luogo dove riposare qualche istante, ma anche per sbirciare all’interno di essa.
Entrando, trovò cumuli di paglia, legname e sterpaglia.
Ma il ricercatore di colpò si fermò!
Si guardò intorno attonito, percependo una sensazione mai provata…
Avvertiva, pur essendo lì, intorno a sé un'altra dimensione, si rigirò, volse lo sguardo nei vari angoli della chiesa come se il luogo gli fosse familiare poi, con un balzo deciso si diresse nel fondo della cappella e come se sapesse cosa fare, iniziò a penetrare tra la paglia al di sotto della quale comparvero due splendidi candelabri dorati in legno, che l’amico ancora oggi ha nel fondo della sua cantina.
Nel momento in cui li afferrò fu come ridestarsi da un sogno e tornare alla realtà.

Uscendo, con i candelabri in mano, un’assurda nebbia aveva preso il posto del caldo sole di prima.

L’uomo fece qualche passo di orientamento ma un fruscio alle sue spalle, lo costrinse a girarsi di scatto e abbassando l’orizzonte del suo sguardo, vide con stupore e paura un piccolo e vispo “mazzemarille”, che si muoveva pur rimanendo coi piedi incollati al terreno, contorcendosi e fissandolo con due occhini troppo grandi per il piccolo viso.

Era vestito come i personaggi delle leggende quattrocentesche, quasi un “Troll” norvegese e si muoveva roteando assurdamente fianchi e manine.

A quella visione, sbigottito l’amico non riuscì a muoversi.
“Ciaooo”- con voce roca e stridula disse l’esserino.
Al che l’amico balbettò un – “ Ma tu che ci fai qui?”.
Lu mazzemarille rispose che lì ci abitava poi con tono sarcastico aggiunse –“ quello che cerchi non sta qua… ma lassù ad Osso Caprino!” e indicò la parte alta della montagna, dove, secondo lo gnomo, sarebbe stato sepolto il tesoro di Manfredi.

“Se vuoi.. ti ci accompagno!” sentenziò il mefistofelico individuo.
Al suo rifiuto, l’essere scomparve, dissolto nella nebbia, divenuta gelida come lo erano tutte le membra del malcapitato amico che, con forza sovrumana, riuscì a darsi ad una fuga forsennata e convulsa.
Raggiunta Teramo, nel seminterrato della sua casa, guardando impietrito i due candelabri si rese conto di aver vissuto un esperienza unica, indimenticabile e terrorizzante.
Da quel giorno non pensò più al tesoro di Manfredi.

LA LEGGENDA DELL' EREMO

Le grotte al di sotto del mitico Castel Manfrino, punteggiano le Gole del Salinello, lì dove il sole di mezzogiorno rimbalza rapido sulla costa del monte sassoso di arenaria, coperto appena da un sottobosco di arbusti e bonsai naturali e raccontano di anacoreti che hanno vissuto lunghi anni di privazioni e preghiere, in condizioni al limite dell’umano.

Tante sarebbero le storie condite da sacralità e umile culto per chi volesse fare un tuffo nella natura più primitiva dove le mute pietre sanno raccontare storie e sentimenti, dove il Creatore ha voluto ammaliare con panorami sorprendenti creando, con la consueta maestria, il regno delle Acque.
I boschi, le foreste, nel nostro immaginario di bimbi, evocano ricordi legati a leggende di gnomi, folletti e altre creature fantastiche.
Ma, forse, sono le grotte e quel senso di ignoto che si prova entrandoci, che scatenano in noi sensazioni inenarrabili.

La grotta più importante del Salinello è quella dedicata al culto di San Michele Arcangelo, la prima che si incontra lungo il corso del fiume, alle falde delle due montagne gemelle di Campli e Civitella.
Antichissimo e profondo il culto per questo santo, mitico eroe che sconfisse il Dragone, icona del Male e che la tradizione vuole apparso tra luci abbaglianti in una grotta nel Gargano.
Qui, anticamente, si praticavano esorcismi e superstizioni.
Un asceta che tutti chiamavano Malco, sembra guarisse da presenze demoniache che ammalavano il corpo di malcapitati individui, praticando preghiere e imponendo strani riti di purificazione.
Secondo anziani da me interpellati a Ripe, queste pratiche raggiungevano quasi sempre lo scopo di liberare il corpo del malato dallo spirito immondo che vi dimorava.
Gli anacoreti che nella grotta fecero per anni penitenza, raccontarono che il monaco, ormai morto da anni, apparisse quando uno di loro veniva preso da dubbi sulla assurda vita che conduceva, per rinsavirlo e portarlo di nuovo sulla retta via.

Alla grotta si accede agevolmente, trovando nel suo interno, altri romitori più piccoli con un rozzo altare dedicato al culto del santo dove negli anni ’50 e ’60 qualche folle praticò riti di adorazione al diavolo e in alto è visibile una fenditura nella roccia ridotta a finestrone da dove, raggiungendola, si ha uno splendido squarcio nella gola.
Si giunge in fondo alla spelonca, ad una “grotta oscura”, sito buio fatto di antri profondi ricchi di stalattiti, colonne di alabastro e, sui muri, guano di pipistrelli.

Le credenze popolari raccontavano di una fantomatica manna miracolosa di cui i fedeli si appropriavano una volta l’anno durante una processione dedicata a San Michele Arcangelo e ne facevano uso per guarire da malattie reumatiche.
Ho il presentimento che tale mistura miracolosa altro non era che sterco di uccelli notturni.
Nel corso degli anni sono stati ritrovati resti di uomini primitivi e frammenti di selci lavorate, ossa e utensili vari, molti dei quali scoperti durante le esplorazioni di Concezio Rosa negli ultimi anni dell’800.
Lo studioso ipotizzava che la caverna fosse un sorta di abitazione per uomini dell’età della pietra che, oltre a cibarsi di mammiferi e uccelli, banchettavano anche dei propri simili essendo antropofagi, barbara abitudine di quei tempi bui.

Tornando al Castello di Manfrino, una leggenda parla di uomini giganteschi preposti ad erigere le mura di cinta.
Erano i mitici Paladini di Francia che in breve tempo costruirono una fortificazione quasi inespugnabile.
L’ordine era stato dato dal Re Manfredi che temeva una invasione, dalle Marche, degli Angioini e volle difendere il confine in quel passo tra le montagne.
Giovanni Pansa, grande storico, affermava che in tutte le leggende cavalleresche non mancava mai l’idea delle mura ciclopiche innalzate da eroi mastodontici e di favolosi tesori celati nelle viscere dei castelli.
Non ha fatto eccezione neanche il mitico Manfrino, delle cui leggende non ci stancheremo mai di parlare.


 
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