Il Castello - Castel Manfrino (Casalbergo)

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COME POTETE NOTARE IL CASTELLO HA  UNA POSIZIONE  STRATEGICA, E' DISPOSTO SU UNO SPERONE ROCCIOSO( DOVE E' POSSIBILE AMMIRARE UN  SUGGESTIVO PANORAMA SULLA VALLATA DEL SALINELLO TRA GROTTE ED EREMI )  ,  TRA I  MONTI GEMELLI ( MONTAGNA DEI FIORI- MONTAGNA DI CAMPLI) AL DI SOPRA  DELLE GOLE DEL SALINELLO . LA STORIA DEL CASTELLO E' STATA CARATTERIZZATA ANCHE  DA MOLTI RACCONTI POPOLARI, LE LEGGENDE

Il Castello sorgeva su un promontorio roccioso, tra il torrente Salinello, proveniente dall'area della Montagna di Campli, ed il fosso Rivolta, che scendeva dalle Canavine, alla base della Montagna dei Fiori. Le origini del Castello di Macchia sono dibattute, anche se viene ormai accettata la tesi dello storico teramano Niccola Palma, che ricostruì la storia del manufatto secondo lo schema che riportiamo qui di seguito.

In principio, sul luogo esisteva un accampamento fortificato romano, una "castrum" che probabilmente controllava e difendeva la "via del sale"; esso fu occupato, in seguito, dai Longobardi, all'epoca della loro invasione. Sui resti di questa costruzione Manfredi di Svevia avrebbe fatto erigere il fortilizio, secondo i modelli costruttivi dell'epoca.

L'organizzazione dei lavori, iniziati nel 1263, si deve al generale Percivalle d'Oria e la scelta del luogo, oltre al fatto che preesistevano delle strutture fortificate, deriva dalla volontà del sovrano svevo di rafforzare la cerniera difensiva che univa la Valle Castellana alla futura Rocca di Civitella del Tronto, nella convinzione (risultata errata) che le armate di Carlo d'Angiò invadessero il Regno di Sicilia seguendo la via naturale costituita dalle gole del torrente Salinello. Sulla linea di confine erano allineati i castelli di Pietralta, Macchia, Civitella del Tronto, Rocca di Murro e Colonnella. L'appartenenza a tale "linea" difensiva dava a Castel Manfrino un'enorme importanza strategica, che ha favorito la fioritura di racconti, tra storia e leggenda, che ancora lo caratterizzano. Il castello, situato ad una quota lievemente più elevata di quella del borgo di Macchia (963 mt.), aveva una pianta quadrangolare allungata e occupava per intero lo sperone calcareo a picco sul torrente Salinello, (100 mt. circa di dislivello). Le mura di cinta, con l'asse longitudinale ad orientamento N-S, erano lunghe un centinaio di metri circa e larghe 20-25 mt.: la cinta muraria aveva un andamento tortuoso e occupava per intero lo spazio disponibile.

La costruzione, in pietra locale squadrata grossolanamente, con qualche concio di miglior fattura (attribuito da Palma al castrum romano), era cementata con pozzolana ed era legata alla funzione d'uso: ha pertanto un limitato interesse architettonico se non quello legato alla struttura militare. Non è possibile nemmeno ipotizzare la presenza di una merlatura, anche se l'attribuzione della fortezza agli svevi potrebbe far propendere per merlature simili a quelle ghibelline. Il Castello aveva tre torri, delle quali rimangono ben pochi resti. Quella di maggiori dimensioni era situata a settentrione: conosciuta come torrione angioino, era di grosse dimensioni e sostituiva, come residenza del castellano, il più antico mastio (torre centrale). La torre sveva era a Sud, a strapiombo sul Salinello, in una posizione molto panoramica (in vista della linea di costa) e quindi adatta per eventuali segnalazioni con specchi o fuochi con la Rocca di Civitella del Tronto. Essa era situata vicino l'ingresso del forte, che aveva sul portale un'aquila imperiale di pietra. La torre di centro, il maschio, era l'abitazione del castellano, nonché la difesa ultima del castello, nella quale si asserragliavano i difensori in caso le difese esterne cedessero. Ad essa si arrivava mediante un ampio corridoio, alla destra del quale erano situati ambienti di diversa tipologia, identificabili come stalle, locali del corpo di guardia e alloggi dei soldati. Tra la torre centrale e quella meridionale, i resti di una costruzione a pianta quadrata, di destinazione ignota ma che, in lavori più recenti, viene identificata come la cappella. Nell'area vennero effettuati scavi negli anni '70, durante i quali furono ritrovati reperti vari, frammenti di ceramica decorata e monete di diverse epoche. Il pavimento originario è a diversi metri di profondità. In origine, molto probabilmente, le case di pietra del borgo erano situate a monte della fortezza, sulla strada che portava alla porta d'ingresso: in caso di attacco nemico, i paesani potevano rifugiarsi rapidamente all'interno del recinto fortificato.

ASSEDIO E CADUTA DEL CASTELLO

Dopo la sconfitta di Manfredi di Svevia ad opera di Carlo d'Angiò, il castello di Macchia fu dato in feudo a Pierre del l'Isle e poi "ripreso e restituito" dagli Ascolani al dinasta Armellino. Re Carlo ordinò al Giustiziere d'Abruzzo di riconquistarlo e raderlo al suolo. L'impresa risultò più difficile del previsto, e richiese un lungo assedio: furono costruiti due bastida, sorta di castelli lignei in miniatura, uno a monte ed uno a valle del castello "vero". Più di mille soldati, al comando di Pagano di Vario, capitano generale dell'esercito Angioino, strinsero in una morsa i ribelli. Altri duecento militi erano accampati nelle adiacenze di Sant'Angelo in Volturino e controllavano la strada per San Vito, impedendo l'arrivo di aiuti dalla città di Ascoli. L'assedio iniziò nell'autunno del 1272 e si protrasse per diversi mesi, fino alla primavera dell'anno successivo: gli assedianti occuparono l'inverno per costruire macchine da guerra per superare le mura del Castello. Secondo i piani, il capitano Matteo du Plexis diede l'ordine d'attacco il giorno successivo alla Pasqua del 1273: le baliste aprirono una breccia nelle mura e i soldati si precipitarono all'interno del fortilizio pronti a vincere la resistenza degli assediati ..... e non trovarono nessuno! Nel  Castello c'erano solo un vecchio e due donnette: questo fatto apparentemente inspiegabile è alla base delle storie che narrano di scale e cunicoli scavati nella roccia. Certo che qualche passaggio segreto ci doveva essere se più di duecento persone riuscirono a dileguarsi nel nulla sotto il naso di un intero esercito. Tra l'altro, i capi della rivolta, tra i quali Rinaldo della Macchia, erano fuggiti già da qualche giorno, approfittando di un'improvvisa nevicata: furono però catturati in breve tempo. Il Giustiziere avvertì Re Carlo della "strepitosa vittoria" ottenuta e quest'ultimo abbandonò le velleità di distruzione del maniero, anzi lo fece riparare e lo diede in feudo lo stesso anno della conquista. Questo dimostra che il Castello di Macchia aveva un ruolo importante nello scacchiere difensivo e il fatto che avesse resistito al lungo assedio testimonia della sua solidità. Nel 1281, fu costruita una cisterna e una nuova torre a base quadrata, di grosse dimensioni (10 mt. di lato, tre piani per 24 mt. circa di altezza). Castel Manfrino ebbe una notevole importanza strategica fino al XV secolo: la sua decadenza, come quella di altri castelli simili, è legata all'invenzione della polvere da sparo, che rendeva inutili le sue strutture difensive.

IL MISTERO DEL VERDE

Il mistero al quale facciamo riferimento è quello relativo alla morte di Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II e di Bianca Lancia. Alla morte dell'imperatore Corrado IV, Manfredi si autonominò protettore dell'erede Corradino, e si fece incoronare Re di Sicilia nel 1258. Dopo il padre Federico, Manfredi fu una delle poche personalità che osarono ribellarsi al otere del Papa, almeno nel periodo Medioevale. Questa aperta sfida fu anche la sua rovina, quando Urbano IV chiamò Carlo d'Angiò per combatterlo. Il Francese scese in Italia nel 1265 e sconfisse lo svevo, in via definitiva, nella battaglia di Benevento (1266), dove quest'ultimo trovò la morte. Proprio la calata di Carlo d'Angiò fu all'origine della costruzione del Castello di Macchia. Vediamo come spiega la cosa Niccola Palma:

E' degno di attenzione il nome di Castello del Re Manfrino che il volgo dà, agli avanzi di un Forte nella gola tra la montagna di Campli e quella di Civitella. Fin dall'anno precedente erano cominciate le trattative fra Urbano IV e Carlo Conte d'Angiò e di Provenza. Manfredi, che vedeva addensarsi il fiero turbine, incerto della strada che il rivale avrebbe scelta per penetrare nel Regno, la quale poteva essere benissimo la Flaminia; non senza accorgimento avrebbe disegnato per punto di ritirata il laberinto de' monti; cui solo per quella gola si apre l'adito dai luoghi piani, e dato avrebbe l'ordine di fortificarla.

Si è sempre favoleggiato sulla presenza fisica di Manfredi nelle nostre zone, in particolare dopo la costruzione del Castello suddetto, a chiusura della valle del Salinello. Diverse sono le "storie" che si tramandano in zona. Una, riportata da Mazzitti, vuole che il Re, dopo aver sostato a Guazzano, stesse tornando a Macchia, avvolto in un nero mantello. Accortosi che era seguito da soldati mandati dal Papa per ucciderlo, fece requisire dai suoi, diversi greggi di capre; giunto al castello, diede ordine di legare un lume tra le corna di ogni capra, facendole poi liberare tra i pendii della montagna. I Papalini, da lontano, videro le pendici della montagna brulicare di luci e si convinsero della presenza di numerosi uomini a guardia del Castello, desistendo così dai loro propositi omicidi. Non ci sono riscontri storici a confermare la veridicità del racconto, solo la tenace tradizione popolare, che avvolge in un alone leggendario anche la morte del Re e gli accadimenti immediatamente successivi.

LA MORTE DI RE MANFREDI


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